Il 2017 è stato un anno da sogno per Matthijs de Ligt, passato a 17 anni dalle giovanili dell’Ajax alla titolarità in nazionale nelle amichevoli contro Marocco e Romania. In pochi mesi è diventato il leader della difesa della squadra che con Bosz ha raggiunto la prima finale europea da più di vent’anni. A Lione, al termine della semifinale di ritorno di Europa League, è rimasto lui solo in campo davanti ai tifosi dell’Ajax ad iniziare i cori di festeggiamento. Non è neanche maggiorenne ed è già capopopolo della più importante squadra olandese. Per spiegare in poche parole che giocatore sia de Ligt penso che si debba prendere in prestito dal basket la figura dell’Unicorno, ovvero un giocatore unico nel suo genere, capace di incarnare tutti i concetti di riferimento del gioco della sua epoca.
Questo perché de Ligt ha la faccia da bambino ma il fisico già formato su 188 cm e spalle larghe; è reattivo e ha un controllo del corpo che lo rende in grado di difendere sulla velocità del gioco contemporaneo. Aggressivo in marcatura, è a suo agio a salire in anticipo e soprattutto a difendere in avanti anche ben lontano dalla porta. Con la palla ha già una precisione millimetrica nel lancio e la visione per poter provare filtranti taglia linee palla a terra. Dal punto di vista tecnico, insomma, è il prototipo perfetto del centrale contemporaneo.
Ma quello che realmente stupisce è la serenità con cui gioca, la tranquillità con cui sembra rialzarsi e scrollare le spalle dopo ogni errore e ricominciare a guidare la linea che tiene in pugno con un carisma innato. Il suo vero unico punto debole è l’esperienza. Un punto debole ovviamente destinato a sparire con il passare dei mesi, già dal 2018, l’anno in cui deve anche decidere se rimanere a casa o partire. Le grandi d’Europa già gli circolano attorno come squali. Il Barça sta fremendo per portarlo in Catalogna e farne l’erede di Piqué.